In un contesto sociale sempre più attento alla protezione dei soggetti vulnerabili – ed in primis dei minori – il Legislatore ha inteso introdurre negli ultimi anni un sistema articolato e strutturato di obblighi per il mondo dello sport, fondato su un principio chiave: prevenire è (sempre) meglio che sanzionare.
Il concetto di safeguarding, mutuato dall’esperienza anglosassone, non rappresenta dunque solo una moda semantica o un’etichetta amministrativa, ma consiste in un approccio culturale prima ancora che normativo, volto a garantire che bambini, ragazzi e persone fragili possano vivere l’esperienza sportiva in un ambiente sicuro, rispettoso e inclusivo.
Per questo motivo, chi gestisce un’associazione sportiva dilettantistica (ASD), una società sportiva (SSD), o comunque un ente (anche del Terzo Settore) che svolge attività rivolte anche ai minori, si trova oggi di fronte a precisi obblighi di legge che – pur potendo sembrare formali – tutelano prima di tutto l’ente, fornendogli strumenti per prevenire rischi ed assumere comportamenti corretti e documentabili.
Ma attenzione: se oggi il sistema safeguarding si applica solo agli enti sportivi, non è affatto escluso che – un domani – gli stessi obblighi possano venir estesi anche a quelli del Terzo Settore, e ciò proprio per l’assoluta rilevanza degli obiettivi che si intendono perseguire con l’insieme delle norme e degli adempimenti che analizzeremo nelle prossime righe.
Il primo pilastro normativo è rappresentato dal D. Lgs. 39/2021, che all’articolo 16 impone agli enti sportivi l’adozione di strumenti idonei a prevenire abusi, violenze e discriminazioni. A questo si affianca il D. Lgs. 36/2021, che all’articolo 33 introduce l’obbligo della nomina di un Responsabile per la protezione dei minori e dell’adozione di un vero e proprio Modello Organizzativo e di Gestione (MOG).
Le norme sono state poi concretizzate dalle Linee guida del Dipartimento per lo Sport, dal CONI (Delibera n. 255/2023), e dalle disposizioni operative degli Enti affilianti (EPS, DSA, FSN), che ne hanno definito scadenze, contenuti minimi, modalità attuative e bozze di riferimento.
L’obbligo di proteggere i minori nelle attività sportive non si deve esaurire in una dichiarazione d’intenti: si traduce infatti in una serie di azioni concrete e documentabili che ogni ente deve intraprendere. Non si tratta solo di adempiere formalmente alle norme, ma di costruire un ambiente realmente più sicuro, anche a tutela della stessa responsabilità degli amministratori e gestori di ASD e SSD.
Vediamo dunque quali sono i tre adempimenti obbligatori previsti dalla normativa.
1. In primo luogo, è richiesta l’adozione di linee guida interne (o codice di condotta). Questo documento deve individuare, in modo chiaro ed accessibile, le regole comportamentali che devono essere rispettate da tutti coloro che operano a contatto con i minori e/o i soggetti in qualche modo da proteggere/tutelare: istruttori, dirigenti, collaboratori e volontari. Non si tratta solo di evitare comportamenti palesemente inappropriati, ma anche di promuovere modalità di relazione corrette, proporzionate, non ambigue. È essenziale disciplinare temi come il contatto fisico, l’uso degli spogliatoi, i canali di comunicazione digitale nonché le regole di comportamento alla base della vita dell’ente.
2. Accanto al codice di condotta, ogni ente è tenuto poi a predisporre un modello organizzativo e di gestione (MOG): un documento più articolato, che va oltre il "cosa fare" per indicare il "come farlo". Il MOG deve infatti descrivere la mappatura dei rischi specifici dell’attività sportiva, le procedure per prevenirli, le figure coinvolte nella vigilanza ed i percorsi previsti in caso di segnalazioni e della loro gestione, in maniera trasparente e tempestiva. È la struttura logica ed operativa che garantisce coerenza e tracciabilità dell’azione dell’ente. E, soprattutto, rappresenta un presidio difensivo essenziale in caso di contestazioni o eventi spiacevoli.
3. Infine, il sistema safeguarding richiede la nomina di un responsabile per la protezione dei minori. Non è una formalità, né un ruolo da assegnare simbolicamente. Il responsabile safeguarding deve essere una figura adeguatamente formata, autonoma, dotata di strumenti e visibilità all’interno dell’ente. Essa deve infatti raccogliere segnalazioni, monitorare l’efficacia delle misure adottate, proporre miglioramenti e mantenere vivo l’impegno alla tutela. La nomina deve essere formalizzata con atto dell’ente, comunicata all’EPS (che provvederà all’inserimento nel RASD), e resa visibile all’esterno.
In base alla normativa ed alle circolari applicative, gli enti sportivi dovevano organizzarsi rispettando due termini principali.
Il primo riguardava l’adozione del modello organizzativo e delle linee guida: la regola generale prevedeva che questi strumenti dovessero essere adottati entro 12 mesi dalla comunicazione delle istruzioni da parte del proprio Ente Affiliante. Per molti enti questa comunicazione è arrivata entro la seconda metà del 2023, rendendo quindi il 31 agosto 2024 la prima scadenza di riferimento.
Il secondo termine era invece unitario e nazionale, e riguardava la nomina del responsabile safeguarding: entro e non oltre il 31 dicembre 2024 tutti gli enti sportivi avrebbero quindi dovuto aver individuato e formalizzato questa figura.
Ritardi o mancate adozioni non sono sanzionati automaticamente, ma comportano rischi significativi, come la possibile non validità dell’affiliazione, l’esclusione da bandi pubblici senza contare la possibile esposizione a responsabilità civili e penali in caso di eventi dannosi ai minori coinvolti.
Conformarsi non significa solo scrivere qualche pagina e conservarla in un cassetto. La conformità deve infatti essere sostanziale, verificabile e personalizzata.
Il primo passo consiste nell’elaborare i documenti in modo coerente con la reale attività dell’ente. Il MOG e le linee guida non possono essere generici: devono descrivere ciò che l’ente fa, come lo fa e come l’ente intende prevenire situazioni rischiose.
Il secondo passo è formalizzare l’adozione per il tramite dell’Organo sociale competente: ogni documento deve infatti risultare approvato e inserito tra gli atti ufficiali dell’organizzazione.
Adottati i modelli, quindi, occorrerà renderne noti i contenuti ed informare tutti i soggetti a vario titolo interessati: affiggere il codice di condotta, pubblicare i riferimenti al responsabile safeguarding, informare tecnici, collaboratori e famiglie, poiché la trasparenza è parte integrante dell’efficacia.
Infine, gli adempimenti devono essere comunicati all’Ente affiliante, secondo le modalità da esso previste, e periodicamente aggiornati per restare coerenti con l’evoluzione dell’attività.
Solo attraverso questo approccio consapevole e integrato si potrà infatti davvero parlare di safeguarding, e non di mera aderenza formale alla norma.
La protezione dei minori rappresenta indubbiamente un principio trasversale, non limitato alle Associazioni Sportive ed alle Società Sportive Dilettantistiche. Gli stessi obiettivi perseguiti dal safeguarding nel mondo dello sport sono infatti da ritenersi pienamente coerenti con l’attività di migliaia di ETS, APS ed ODV che operano in ambito educativo, culturale e sociale.
Per questo è verosimile che in futuro anche il Terzo Settore verrà chiamato ad adottare strumenti simili, e chi si doterà per tempo di MOG, linee guida e responsabili qualificati sarà in vantaggio, magari nella partecipazione a bandi pubblici o nella gestione di progetti finanziati, anche solo per la serietà e la trasparenza con la quale affronta tematiche così rilevanti, a maggior ragione nell’attuale contesto sociale.
Considerazioni finali
La normativa sul safeguarding, pur con i suoi tecnicismi e le sue indubbie formalità (come l’adozione di MOG e linee guida, e la nomina del responsabile), nasce da una esigenza concreta: costruire ambienti sportivi (e non solo …) dove bambini e ragazzi possano crescere al sicuro, tutelati da ogni forma di abuso, incuria o discriminazione. È un cambiamento culturale prima ancora che giuridico, che chiama gli enti a riflettere sul proprio ruolo educativo e sociale.
Conformarsi non significa soltanto evitare sanzioni, ma abbracciare un modello di gestione che può rendere le organizzazioni più solide, credibili e autorevoli.
Essere pronti a rispondere con fatti, e non solo parole, è una responsabilità che vale la pena prendersi, perché la tutela dei più fragili non ha confini, e ogni ente può scegliere di essere parte del cambiamento.