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01 settembre 2007

ENTI NON COMMERCIALI E DIRITTO DI ACCESSO
Il problema relativo alla possibilità da parte di personale dell'Amministrazione finanziaria di accedere presso la sede degli enti non commerciali (associazioni, comitati, eccetera) è sicuramente di grande importanza.
Il problema principale riguarda sicuramente la necessità (o meno) per i funzionari che eseguono l'operazione di dotarsi preventivamente di autorizzazione del Procuratore della Repubblica.
Secondo l'opinione prevalente, in caso di soggetti associativi non titolari di redditi di impresa l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria è sempre necessaria. Inoltre, tale accesso è possibile solo in caso di gravi indizi di violazione della normativa fiscale e allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture e altre prove delle medesime violazioni.

Diversa la situazione qualora l'associazione svolga anche attività di tipo commerciale (ad esempio attività di somministrazione di bevande); in questo caso, si ritiene che le modalità di controllo siano quelle indicate al comma 1 dell'articolo 52 del Dpr 633/1972, in base al quale gli uffici dell'Amministrazione finanziaria e la Guardia di Finanza possono disporre l'accesso per procedere a ispezioni documentali, verifiche, ricerche e ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. In questo caso, coloro che eseguono l'accesso devono essere comunque muniti di apposita autorizzazione rilasciata dal capo dell'Ufficio da cui dipendono.
L'autorizzazione del Procuratore della Repubblica rimane comunque necessaria per accedere nei locali che siano adibiti ad abitazione.

In caso di accesso eseguito senza il rispetto delle procedure sopra descritte, si presenta il problema dell'utilizzo dei materiali acquisiti in funzione probatoria. La Corte di Cassazione ha ritenuto, a questo riguardo, che l'Amministrazione può porre a fondamento della propria attività conoscitiva ogni dato comunque in suo possesso, e ciò che rileva è solo l'attendibilità delle fonti di prova acquisite, in quanto "la prova non subisce gli effetti della illegittimità, come conseguenza necessaria della eventuale illiceità dell'acquisizione" (Corte di Cassazione, sentenza 8344/2001).

Questa conseguenza deriva dal fatto che "in materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente, pertanto gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso salvo la verifica della attendibilità" (Corte di Cassazione, sentenza n° 8273 del 26 maggio 2003).

In caso di accesso eseguito senza rispetto delle procedure previste dalla legge, il contribuente deve comunque manifestare la propria opposizione: la Corte di Cassazione, con sentenza 27 luglio 1998, ha ritenuto se "l'accesso si è verificato con il consenso del contribuente, ciò (?) vale a superare ogni questione sulla legittimità dell'accesso stesso (?) il rifiuto all'accesso deve essere fatto constatare nel processo verbale di verifica, dandosi atto che l'accesso è stato effettuato nonostante l'opposizione".

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